

A causa dell’emergenza sanitaria ed economica da Covid-19, molti Governi hanno disposto, all’inizio del 2020, un primo periodo di “lockdown”.
Con il termine lockdown si definisce un protocollo di emergenza che impedisce alle persone di muoversi da una determinata area per salvaguardarne la salute e, in taluni casi, la vita stessa. Ciò è quanto accaduto nei mesi scorsi a Whuan e nella provincia dello Hubei, in Cina. Di solito tale protocollo di emergenza viene avviato dalle autorità. I blocchi possono anche essere utilizzati per proteggere le persone all’interno di una struttura o, ad esempio, un sistema informatico da una minaccia o altro evento esterno.
Il “lockdown” può essere disposto sull’intero territorio nazionale, com’è accaduto nei primi mesi del 2020 o, in casi meno gravi, si può parlare anche di lockdown limitato a zone, a paesi o addirittura a edifici.
Con la Fase 2 di questa epidemia, dobbiamo far fronte a nuovi “lockdown” imposti dal Governo, disposti in maniera diversa sul territorio nazionale, a seconda della gravità della situazione riconosciuta ed attribuita ad ogni zona.
Il blocco delle attività, oltre ad aver creato inevitabili conseguenze sotto il profilo economico, potrebbe determinare, indirettamente, la perdita di valore del marchio aziendale e dubbi sulle possibili conseguenze derivanti dal “non uso”, tra cui la decadenza. Verificare se il mancato utilizzo è indipendente dalla volontà del titolare del marchio potrebbe così salvare il marchio dalla dichiarazione di invalidità.
La registrazione di un marchio d’impresa garantisce, al suo titolare, il monopolio su quel segno per prodotti uguali o affini. I marchi, tanto nazionali quanto comunitari, hanno una durata di 10 anni a decorrere dalla data del deposito della domanda di registrazione. Dopo tale periodo essi possono essere rinnovati (potenzialmente all’infinito) per un periodo di pari durata.
Al fine di evitare che il registro marchi sia popolato da segni che in realtà non vengono utilizzati, impedendo però, per il solo fatto di essere registrati, l’uso da parte di terzi di segni uguali o simili per prodotti o servizi uguali o affini, il legislatore ha previsto l’istituto della decadenza per non uso (art. 24 codice proprietà industriale e art. 58, comma 1, regolamento UE 2017/1001: con tali norme si prevede la pena della decadenza di un marchio che non venga utilizzato in maniera effettiva entro cinque anni dalla registrazione o il cui uso venga sospeso per un periodo ininterrotto di cinque anni, salvo il caso in cui il mancato uso sia giustificato da un motivo legittimo). In altri termini un marchio non usato abbastanza entro un certo periodo di tempo non è più valido.
Tra le principali questioni interpretative collegate a queste norme vi è quella di stabilire quando l’uso si può dire “effettivo” e quando si può parlare di “motivo legittimo”.
La giurisprudenza ripudia la fissazione di regole minime in relazione ai requisiti (anche quantitativi) di uso del segno sufficienti ad escludere la decadenza, preferendo, invece, di volta in volta, valutare i vari elementi del caso concreto e considerandoli con una valutazione complessiva: fatture di vendita; estensione territoriale dell’uso; mercato di riferimento, tipologia di beni o servizi.
Così è palese, applicando nel concreto quanto sopra, che, ad esempio, l’esibizione in un giudizio del medesimo numero di fatture che potrebbero essere sufficienti a dimostrare l’uso effettivo di un marchio registrato per biscotti non sarà sufficiente a dimostrare l’uso effettivo del marchio per auto di lusso o per un farmaco destinato alla cura di una malattia rara.
Anche l’uso pubblicitario del segno può contribuire a dimostrare l’uso effettivo ma, secondo la giurisprudenza maggioritaria, inclusa quella comunitaria (Corte di Giustizia 11 marzo 2003, causa C-40/01, caso «Ansul» e Corte di Giustizia 27 gennaio 2004, C-259/2002, caso «La Mer»), solo quando detto uso pubblicitario sia comunque collegato o quantomeno prodromico alla vendita effettiva del prodotto ed, in ogni caso, quando sia accompagnato anche da altri elementi che dimostrano che l’uso del segno è volto a distinguere sul mercato un certo prodotto come proveniente da una determinata fonte produttiva.
Tale soluzione porta a ritenere che non sarebbe possibile asserire di avere effettuato un uso effettivo del marchio solo per avere pubblicato sui social network, indipendentemente dal numero di followers, l’immagine del marchio stesso, oppure per avere mantenuto on line un sito aziendale senza la funzionalità di e-commerce, oppure per avere inserito la funzione di e-commerce, ma in una piattaforma non specificatamente destinata al consumatore nazionale (in questo senso Corte di Giustizia 12 luglio 2011, C-324/09, caso «Oréal», nonché due sentenze emesse, rispettivamente, da Trib. Milano, 11 giugno 2018 e da Trib. Roma, 4 marzo 2019).
La decadenza non sussiste se il non uso del marchio è determinato da un motivo legittimo.
Sulla questione di cosa possa ritenersi un “motivo legittimo” si distinguono i motivi che, pur dipendendo dalla volontà del titolare del marchio, possono considerarsi legittimi: ad es. è motivo legittimo l’esistenza di una massiccia contraffazione che impedisce di vendere a condizioni economicamente vantaggiose, ma non lo è l’assenza di mezzi finanziari, rischio che rientra nella normale attività di impresa; quelli che non dipendono dalla volontà del titolare del marchio, come ad es. una guerra o il divieto di produzione di un certo prodotto oppure il mancato rilascio di un’autorizzazione amministrativa.
Alla luce di quanto sopra, ove il non uso fosse dipendente, anche in parte, dal prolungamento del lockdown, a causa dell’emergenza Covid-19, conseguente a provvedimento governativo e quindi indipendente dalla volontà del titolare del marchio, ciò potrebbe avere un importante rilievo nella valutazione della sussistenza del “motivo legittimo” che ha determinato al non uso del segno, potendo così salvare il marchio dalla dichiarazione di invalidità.