

MARCHIO DEBOLE E SUA TUTELA
La giurisprudenza definisce marchi deboli quelli che risultano concettualmente legati al prodotto, in quanto per esempio la parola che rappresenta il marchio coincide con la denominazione generica del prodotto oppure sostanzi delle indicazioni meramente descrittive dello stesso.
In materia di segni distintivi dell’impresa si suole distinguere tra marchi forti e marchi deboli: un marchio si definisce forte quando è costituito da un segno privo di attinenza con il prodotto che contraddistingue; si definisce debole, invece, quando descrive la natura o una qualità di un prodotto, cioè si limita ad evocare il prodotto o il servizio contraddistinto.
“I cosiddetti marchi “deboli” sono tali in quanto risultano concettualmente legati al prodotto dal momento che la fantasia che li ha concepiti non è andata oltre il rilievo di un carattere, o di un elemento del prodotto, ovvero l’uso di parole di comune diffusione che non sopportano di essere oggetto di un diritto esclusivo”
(Cass. civ. sent. n. 01267/2016).
È quanto sostenuto dalla Corte di Cassazione, la quale ha dichiarato come in materia di privativa industriale si considerino marchi deboli i segni che non siano dotati di un’elevata capacità distintiva rispetto ad altri segni simili, a causa dello stretto collegamento concettuale esistente tra il marchio e i prodotti contrassegnati.
La debolezza del marchio però non incide sulla sua attitudine alla registrazione, ma ne rende più difficile la tutela in caso di confusione con altro segno simile, dal momento che di fonte ad un marchio debole basteranno lievi modifiche da parte del marchio del concorrente per evitare conseguenze sul piano legale a carico di quest’ultimo.
Sulla scia dell’orientamento della Suprema Corte, il Tribunale di Bologna ha ribadito come la stretta associazione tra gli elementi semantici del marchio e la natura o la funzione del prodotto cui esso si riferisce, rendono il marchio “debole”, minimizzandone la capacità distintiva e quindi diminuendone la tutela.
Non esistendo, tuttavia, una codificazione in materia, l’individuazione della capacità distintiva di un marchio deve essere sempre condotta in concreto attraverso la disamina del singolo caso e pertanto si consiglia di richiedere il preventivo parere di un legale.
Nel giudizio di comparazione dei segni devono essere ritenuti identici non solo i segni che tali siano in quanto esatta riproduzione l’uno dell’altro, ma anche tutti i segni che pur presentando differenze, appaiano identici agli occhi del pubblico. Ricorre identità di marchi, infatti, quando uno dei due marchi riproduce l’altro apportandovi complessivamente differenze talmente insignificanti da poter passare inosservate ad un consumatore medio; pertanto, l’identità deve essere valutata secondo la percezione del consumatore medio, tenendo conto dell’impressione complessiva prodotta dai segni, del livello di attenzione variabile a seconda dei prodotti di cui si tratta e del fatto che il consumatore non effettua un confronto diretto ma mnemonico.
Due marchi devono essere considerati identici quando un marchio riproduce, senza modifiche né aggiunte, tutti gli elementi che costituiscono il marchio anteriore ovvero quando, complessivamente considerati, gli elementi di differenziazione risultino insignificanti al punto da passare inosservati agli occhi di un consumatore medio.
Un marchio intrinsecamente “forte”, cioè non avente alcun nesso semantico con i prodotti che contraddistingue, gode di una tutela rafforzata che si estende al nucleo ideologico espresso dal marchio, con la conseguenza che modifiche anche notevoli non bastano ad evitare la contraffazione, se lasciano sussistere l’identità sostanziale del marchio e/o dei suoi elementi maggiormente caratterizzanti.
Nell’apprezzamento di confondibilità tra i segni distintivi similari, la tutela del marchio ‘forte’ si caratterizza per una maggiore incisività rispetto a quella dei marchi ‘deboli’, poiché rende illegittime le variazioni, anche se rilevanti ed originali, che lascino sussistere l’identità sostanziale del nucleo ideologico in cui si riassume l’attitudine individuante.
Nell’ipotesi di contraffazione del marchio sussiste un indebito vantaggio quando, grazie a un trasferimento dell’immagine del marchio o delle caratteristiche da questo proiettate sui prodotti designati dal segno identico o simile, sussiste un palese sfruttamento parassitario nel tentativo di infilarsi nella scia del marchio notorio.
Tribunale Firenze Sez. spec. Impresa, 12/02/2018, n.433
Il titolare del marchio previamente registrato non può vietare di per sé l’uso del segno distintivo in qualsiasi forma, compreso il “domain name”, ove non sussista la confondibilità o l’affinità dei prodotti o servizi, fermo restando che incombe su colui che chiede la tutela ultra-merceologica del marchio l’onere di provare la rinomanza e la notorietà del medesimo, atteso che non può ritenersi che ogni marchio sia accompagnato dalla presunzione di rinomanza e notorietà (fattispecie relativa all’impiego del segno Etnapolis nella zona del catanese da parte del ricorrente per il settore delle costruzioni immobiliari e da parte del resistente per il settore della comunicazione integrata online).
Cassazione civile sez. I, 18/08/2017, n.20189
Ai sensi dell’art. 20 c.p.i. (d.lg. n. 30/2015), il titolare del marchio registrato gode di tutela nei confronti di qualunque terzo che utilizzi un marchio uguale o simile per prodotti analoghi. Per la configurazione della contraffazione è presupposto necessario la confondibilità tra i segni utilizzati dal titolare e dal presunto contraffattore, cioè la possibilità che, mediante l’utilizzo di un segno distintivo uguale o simile, possa determinarsi un rischio di confusione o di associazione per il pubblico.
L’illiceità di tale condotta integra la fattispecie della concorrenza sleale confusoria e per agganciamento parassitario di cui all’art. 2598 nn. 1 e 2, c.c.
Tribunale Milano Sez. spec. Impresa, 09/05/2016, n.5732
Stante la rinomanza del marchio, ad esso deve essere riconosciuta una tutela anche extra -merceologica, ai sensi dell’art. 12, comma 1, lett. e), del c.p.i., che estende la tutela del marchio rinomato anche nelle ipotesi in cui il marchio successivamente registrato riguardi prodotti non affini art. 20, comma 1, lett. c), c.p.i.; ciò, al fine di evitare che chi utilizza il marchio successivamente registrato possa trarre, senza giusto motivo, indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del segno anteriore, e per evitare altresì che chi utilizza il marchio successivamente registrato possa essere associato al titolare del marchio anteriore, così da fuorviare o ingannare i consumatori, essendo peraltro precipuo interesse del titolare del marchio rinomato evitare di essere associato a produttori che sfuggono alla sua sfera di controllo.
Tribunale Bari Sez. spec. Impresa, 28/04/2016, n.2343
La Corte di Cassazione, con Sentenza del 2 febbraio, ha affermato che anche un marchio cosiddetto “debole”, perché costituito da parole di uso comune, deve beneficiare di adeguata tutela nei confronti della contraffazione.
Nel caso in esame, la società Natuzzi S.p.a., titolare del marchio nazionale e comunitario “Divani&Divani, si era rivolta al Tribunale di Bari chiedendo che alla società “Divini&Divani” fosse impedito l’uso dell’omonimo marchio quale denominazione sociale e segno distintivo di divani e poltrone e che fosse riconosciuta la concorrenza sleale con risarcimento a favore della Natuzzi.
La sentenza di primo grado aveva riconosciuto la contraffazione del marchio e un risarcimento del danno per l’indebito vantaggio tratto dalla società convenuta, ma aveva rigettato la domanda di concorrenza sleale.
La Divini&Divani aveva presentato appello, negando la confondibilità dei marchi e affermando la debolezza del marchio della Natuzzi e l’insussistenza dei danni risarcibili. La Corte di Appello di Bari aveva accolto l’appello rigettando tutte le richieste della società Natuzzi. Quest’ultima ha presentato ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione sostenendo che la sentenza di appello aveva violato le norme del Codice della proprietà industriale in materia di marchi in quanto:
– la stessa Corte non aveva considerato che, seppure il segno registrato dalla Natuzzi fosse originariamente debole, esso aveva acquisito una forte capacità distintiva in ragione dell’intenso uso commerciale e pubblicitario che ne era stato fatto e che si protraeva da diciotto anni;
– sempre la Corte di Appello aveva ignorato il rischio di confusione per il consumatore medio derivante dall’estrema somiglianza tra i due marchi.
La Corte di Cassazione ha ritenuto fondati i due motivi principali del ricorso.
Per quanto riguarda il primo motivo, la Suprema Corte ha ritenuto che la Corte di Appello, nel considerare il marchio Divani&Divani meritevole di una tutela limitata alla sola imitazione integrale in quanto marchio debole, non aveva tenuto conto della giurisprudenza che riconosce ai marchi originariamente deboli la possibilità di acquisire capacità distintiva e, inoltre, l’elevata diffusione pubblicitaria e commerciale dello stesso possono trasformarlo in un marchio “forte”.
Con riferimento al secondo motivo, secondo la Cassazione, la sentenza impugnata non aveva applicato i criteri necessari per accertare la confondibilità fra segni distintivi, ossia i criteri utili per valutare il rischio di confusione per il consumatore medio, che può essere tratto in inganno sull’origine di un prodotto avente grande notorietà sul mercato anche internazionale. Inoltre, la Corte di Appello avrebbe dovuto verificare se utilizzando la denominazione sociale Divini&Divani la società convenuta avesse inteso appropriarsi del nucleo del marchio anteriore al fine di orientare le scelte del consumatore.
Pertanto, la Cassazione, in accoglimento dei primi due motivi di ricorso, ha cassato la sentenza impugnata e rinviato alla Corte di Appello di Bari la decisione anche per le spese del giudizio di legittimità.
(Corte di Cassazione – Prima Sezione Civile, Sentenza 2 febbraio 2015, n. 1861)